ZUCCO DEL CORVO e MONTE FOPPABONA
TRAVERSO DELLA CONDOTTA

Introbio – Alpe Daggio – Via Foppabona – Monte Foppabona – Zucco del Corvo – Passo Toro - Alpe Te

  • Difficoltà :

Traverso della Condotta : Percorso per Escursionisti Esperti T4

Indicazioni : Assenti;

Bollatura : Assente;

Traccia : labile – tratti cementati – tratti attrezzati (vedi le note del trafiletto sotto);

Percorso di Cresta : Percorso per Escursionisti Esperti T3-

Indicazioni : Assenti;

Bollatura : Assente;

Traccia : Assente;

Restante itinerario : Percorso per Escursionistico T2(+)

Indicazioni : Buone;

Bollatura : Buona;

Traccia : sentiero, mulattiera;

  • Tempo di salita : ca 4 [h]
  • Dislivello positivo : ca 1500 [m]
  • Periodo consigliato : Giugno – Ottobre

Il “traverso della Condotta” è un neologismo da me creato per riferirmi al percorso che, di taglio, attraversa la selvaggia e dirupata parete Sud dello Zucco di Cam a circa metà altezza del suo sviluppo dall’Alpe Daggio alla cima. I tratti in progressione artificiale (catene, corde, gradini e passerelle in cemento) NON sono stati realizzati in un’ottica di transito escursionistico ne quanto mai di via ferrata. Esse sono tutte infrastrutture di sola assicurazione del personale addetto ai lavori e/o di messa in sicurezza della condotta. Questo è quindi un viaggio decisamente selvaggio dove quello che sembra correrci in aiuto è spesso il più subdolo degli ostacoli. Buona visibilità, assenza di ghiaccio e neve risultano fondamentali.

  • Disponibilità acqua : Nessuna
  • Appoggi : Rifugio Buzzoni.
  • Data di stesura relazione: Primi anni venti.

Due verdi e solitarie cime, poste a poca facile distanza da una delle più trafficate arterie escursionistiche della zona, vengono raggiunte da questo selvaggio itinerario pieno di sorprese e di contrasti. Lo stupore, sempre rinnovato, è sorgente di un’inesauribile meraviglia e di un inesprimibile gratitudine.

Due verdi e solitarie cime, poste a poca facile distanza da una delle più trafficate arterie escursionistiche della zona, vengono raggiunte da questo selvaggio itinerario pieno di sorprese e di contrasti. Lo stupore, sempre rinnovato, è sorgente di un’inesauribile meraviglia e di un inesprimibile gratitudine.

DESCRIZIONE: Partenza da Introbio, parcheggio di Piazza Carrobbio. Traversato l’Acquaduro, imboccare Via Partigiano Mina e poi Via Biandino. Trovata sulla destra la rampa iniziale di un’antica mulattiera acciottolata, seguirla con fede transitando davanti alla cappella dedicata a Sant’Uberto. Entrando nel secolare bosco di castagni, ad un primo bivio segnalato con magnifica lapide in pietra, tenere la destra. Poco innanzi tenere la sinistra per la Via Foppabona. Sempre con pendenza sostenuta, raggiungere un’isolata edicola mariana dove sorge spontaneo levare il cappello di fronte ad una Madonna soavemente immersa nei monti sopra Introbio, proprio quelli che si stanno or ora attraversando.

Raggiunta la sterrata pista di servizio, che staccandosi da quella per Biandino conduce alle Baite Serra, ricercare a monte il tracciato seguito fino a qui con una nuova immersione nel castagneto. Con lunghe ripide rampe e decise svolte, gli alberi d’antica sussistenza lasciano spazio ai faggi, mentre si raggiunge la Baita Pianca dall’impagabile vista sulle Grigne. Bordeggiandone il prato sommitale, nuove e dure altre serpentine permettono di raggiungere un antico passo intagliato nella roccia, in un’aura dal vago sentore medioevale. Gettato lo sguardo oltre la bocchetta della Pianca, è il trascendere stesso di tempo e spazio. Un immenso ed imprevisto angolo defilato di mondo, selvaggio ed accucciato nella sua tana. Decisamente in secondo piano ma in grado di esprimere una potenza visiva, con l’oscuro Canale di Daggio, con l’aspro profilo del Monte Foppabona e l’imponente mole dello Zucco di Cam, impressionante ed ammaliante.

Proseguire prima in leggera discesa e poi in falsopiano nella bella faggeta, su buona traccia. Raggiunta una ben marcata apertura del bosco, felci invadenti arrivano a lambire con insistenza la Via Foppabona; tanto oppressive da celare tutto il resto ad uno sguardo che non riesce a prevaricarle in altezza. Ai margini terminali a monte di questa lussureggiante preistorica landa, la solitaria baita con stalla dell’Alpe Daggio è testimone dell’abbandono del suo pascolo da parte dell’uomo ma non da parte della bellezza che quivi continua a pascere beatamente tra le felci misteriose e a riposare all’ombra di un boschetto di maestosi esuli faggi poco discosti dalla selva da cui si è appena usciti.

Raggiungere l’Alpe vincendo direttamente la vegetazione o, meglio, bordeggiando il pascolo sotto la chioma degli ultimi lembi di bosco. All’altezza della baita la presa infestante delle felci è meno tenace e presto ci si ritrova a procedere su prato fino ad una ampia sella della cresta Sud Ovest dello Zucco di Cam; la stessa che, più boscosa e più a valle, viene intaccata dalla Boc.ta della Pianca. La direzione da prendere è subito chiara. Un fiabesco rado boschetto di meravigliosi imponenti faggi lambisce i pendii basali di una cresta che punta diretta al cielo. L’essere introdotti in loro compagnia, da pari, fa dimenticare presto ogni velleità di cima. Nella quieta agitazione di tanta armonia; un fermento inarrestabile di vita. Nella luce incantata del mattino, nelle ombre abbracciate e danzanti di fronde ed erba, nel regno animale invisibile o in quello percepibile; leggerezza di passo e soavità di pensiero riversate da un sorso di paradiso in un cuore in viaggio che non può scegliere di fermarsi più di quel tanto.

Individuare il marcato intaglio di un sentierino a mezzacosta e così, dolcemente, approdare sulla linea di cresta principale. Una larga dorsale di erba e massi sparsi è dominata da un secolare faggio. Pochi metri più a monte, sul fianco della montagna, alla nostra destra nella confusa avanzata di un giovane boschetto di betulle, tra arbusti ed erba, ha avvio il traverso della condotta. La sua impercettibile traccia iniziale è di seria difficile individuazione. Non esisterebbe nulla se non si sapesse che qualcosa c’è. La vera chiave di volta dell’itinerario è davvero il ritrovare, sotto un saltello di roccia a lato della dorsale, un pugno di malcelati sassi allineati e resi solidali tra loro da una manciata di cemento nel chiaro intento di formare una primitiva passerella. Questa è l’unica altezza certa per la quale cominciare a traversare verso il cuore selvaggio della dirupata parete sud dello Zucco di Cam.

L’inizio è ambiguo ed incerto. La traccia sembra poco convincente nel suo altalenare tratti più marcati a zone in cui praticamente scompare e, nel farsi appresso ad un severo canalone, non ispira affatto fiducia. Quand’ecco, l’incredibile! Nei pressi di un ballatoio roccioso esposto sul ripido fianco erboso del canale, spunta una lunga corda d’acciaio a protezione della traversata. Raggiunto il fondo, un pozzetto dell’acqua ed una tubatura emergono dagli sfasciumi. Alcune labili ripide serpentine aiutano a vincere l’opposto versante fino ad una larga bocchetta coperta alla vista da valle da un enorme sperone roccioso. Altre corde indicano la via ed un nuovo traverso; si raggiunge così un casello dell’acqua che si supera sfilandolo su di un balconcino aiutandosi con alcune catene affisse al suo muro a valle. Il fondo di un nuovo canale apre ad un roccioso e ripida spina che si risale grazie all’aiuto di stretti ed angusti gradini di cemento creati su di una fradicia cengia che la segna tagliandola in diagonale. La corda di nuovo e fresco acciaio qui lascia spazio ad una vetusta catena ed ad alcuni marci spezzoni di corda. Raggiunta la costa centrale della parete del Cam la progressione avviene lungo un rado boschetto di betulle alla ricerca delle flebili tracce nell’erba alta del ripido pendio. La direzione è però chiara. Lo sguardo che fruga avanti nella maestosa ambientazione la coglie immediatamente. Il suggerimento proviene da alcuni muretti a secco, dalla sommità livellata da una copertura di cemento, che spuntano dal nulla avviluppando altrettante coste rocciose di una precipitosa selvaggia parata in fuga verso il basso. Un lungo difficile tratto si frappone ancora tra noi e la sicura Via Foppabona, abbandonata oramai una vita fa tra le felci dell’Alpe Daggio.

La sempre labile ma chiara traccia punta ad ognuna di queste costruzioni a supporto e a difesa della condotta dell’acqua; erette ogni qual volta non si è potuto interrarla. L’invitante passerella che creano risulta tanto fondamentale al superamento delle esposte creste e dei canali secondari quanto inadeguate al transito. Esse infatti sono sprovviste di assicurazione e la pedana sulla quale si cammina risulta spesso un troppo stretto scivolo pericolosamente inclinato verso valle. Troppo a ridosso delle aggettanti pareti rocciose a monte, esse impongono un delicato gioco di equilibrio nella progressione anche per evitare sbilanciamenti causati da un eventuale accidentale urto contro le invadenti roccie. Tra un esposto traverso nell’erba ed una passerella in cemento, anche un canalino attrezzato e, poi, se ne è fuori! L’aria è cambiata e la traccia, più sicura di sé, permette di accorgersi della superba vista sulle Grigne e di alcune soavi dolci betulle prima di innestarsi su di un ritrovato alto tornante della Via Foppabona.

Una marcata freccia rossa su di un grosso masso verticale indica il proseguo corretto della Via Foppabona. Essa non lascia dubbi, follia e concentrazione attendono chi, nel non ascoltarla, volesse proseguire oltre verso il sentierino che ve ne si allontana incurante dal quale noi stessi proveniamo. La condotta sembra prelevare l’acqua poco oltre, da un mucchio di sfasciumi a ridosso della Via che ora si è ritornati a seguire fedeli e risollevati. La dolce (buna) conca (foppa) che dà il nome alla Via la si raggiunge dopo una non breve anticamera fatta di morbidi dossi ed ampie giravolte del sentiero.

Alla stessa altezza della Baita dell’Alpe, poco prima dell’omonima bocchetta, la vista verso valle è un caleidoscopio di verde. A sinistra il morbido e uniforme profilo dello Zucco di Cam, che solo nelle sue più remote propaggini mostra l’asprezza della sua parete sud, stupendamente pezzato con ghiaie e segnato da una lunga fascia rocciosa, si unisce al centro di questa valle di latte e miele con le verdissime uose e i ripidi drappeggi sommitali del Monte che porta alto il nome Foppabona

Alla Bocchetta, alla quale perviene una variegata chiassosa umanità dai Piani di Bobbio principalmente in cerca della cucina della Grassi, il richiamo del silenzio sovrasta con la sua intensità ogni cosa. La decisa cresta nord del Monte Foppabona ci permette di togliere il disturbo e raggiungere presto una dimensione più consona ed in linea con il pregresso della giornata. Facile e relativamente breve, non ci si capacita, ma non troppo in realtà, che non presenti alcuna traccia che la percorra. Su di essa è così commoventemente facile immaginare di librarsi in aria e di raggiungere valle in picchiata o di farsi portare da una corrente ascensionale fino al dominante Pizzo dei Tre Signori per porgli omaggio. Una più rocciosa meridionale anticima, raggiunta dalla medesima “nostra” valle di Daggio da una frastagliata e sinuosa cresta d’incubo, ci richiama. Contenti di poter di nuovo aprire le ali evitando così di procedere su gibbosa e pungente erba olina, puntiamo al largo colletto della verde nuova cresta che ci separa.

Fattoci appresso alla nuova meta, si ignorano le abbandonate spoglie di un sentierino a mezzacosta e per sfasciumi e roccette si raggiunge il verde poggio sommitale. Poco sotto, al termine di una verde rampa, corre il Sentiero (101) delle Orobie Occidentali. In sua compagnia si percorre il suggestivo Passo del Toro intagliato nella viva roccia. Prima dell’inizio della fine, dell’interminabile discesa ad Introbio, un’ultima deviazione ci porta a ripercorre a ritroso il passo appena vinto ma in linea di cresta. Lo Zucco del Corvo, così facilmente vinto, risentito, svela piacente il suo orrido fianco occidentale come a voler in parte giustificare il nome che porta. Accettata questa indiscussa manifestazione di forza, docilmente si è già al Passo del Gandazzo ed al Rifugio Buzzoni.

La discesa verso la Costa di Te avviene traversando alcuni canali e raggiungendo una magica faggeta. Un fermento agita però questo placido bosco. Un’aria di sfida si è insinuata tra le piante più maestose che le porta a tendere le radici e a virare in smeraldo le superbe chiome. La carica di reggente è vacante ed una pacifica guerra di successione è in atto. Il secolare Faggio del Te è collassato in grande parte ed è pressappoco morente. Ho avuto il piacere di conoscerlo negli ultimi suoi giorni gloriosi. Sia lui che il suo coetaneo d’Erna sono amici ancora vivi in me.

Per lunghi traversi si discende verso il ponte sul canale di Teagiolo che apre alla rossa abetaia caratteristica di questo angolo di mondo. L’impressione è notevole; sembra d’esser una formica sul cuscino degli spilli del sarto che sta confezionando il creato. La lunga rimanente discesa è accompagnata dal fragore crescente dell’Aquaduro. Fuori dal dominio del bosco finalmente lo si incontra attraversandolo su un paio di ponticelli pedonali. La pista di servizio alle Baite Serra ed all’acquedotto ci prende momentaneamente in consegna. La mulattiera per Sant’Uberto che vi si distacca da lì a poco conserva ancora alcuni inestimabili tratti nel maestoso castagneto nel quale si intrufola come una serpe dal manto ciottolato. Che meraviglia seguirla stanchi e provati al termine di una lunga giornata ben vissuta. Ma prima, proprio dove la mulattiera viene brutalmente smocciata dalla pista, una lapide ricorda il luogo dove la leggenda popolare vuole che si sia tenuta la sfida di salto tra il diavolo e il santo. Ogni volta, l’oltrepassare un Varco è come camminare fino al bordo di un trampolino; e saltare. Oggi, tra le strette passerelle e l’arioso intimo volteggio sulle le cime, il salto simbolico è stato quanto mai esplicito e fisico. Non è dato sapere se si era il santo o il diavolo. Abbiamo salito le cime per tentare il tentatore. Forse li eravamo entrambi. Forse è l’ultima cosa che importa.

VIE DI FUGA : Non presenti sul Traverso della Condotta. La vicinanza del Sentiero delle Orobie Occidentali e la facilità del terreno permettono sempre di uscire dal percorso di cresta.

SUGGERIMENTI PER LA DISCESA : La relazione è completa di discesa.

CONSIDERAZIONI : Non sono riuscito a reperire alcuna informazione in merito al traverso della condotta. La curiosità resta.

APPROFONDIMENTI

RIFERIMENTI CARTOGRAFICI :

  • Carta 1:35000 “GRIGNE – RESEGONE – CAMPELLI – TRE SIGNORI – LEGNONE”

Traverso della condotta e itinerario di cresta correttamente non rappresentati.

 

RIFERIMENTI BIBLIORAFICI:

La chiarezza e l’assenza di difficoltà del percorso di cresta per raggiungere e concatenare il Monte Foppabona e lo Zucco del Corvo non giustifica l’approfondimento della manciatina di relazioni a proposito scovabili in internet. Nessuna informazione e nessuna relazione in merito al traverso della condotta…

Tutti i diritti riservati. Ogni contenuto è originale e di esclusiva proprietà  MNR – Negri “Manara” Raffaele

Tutti i diritti riservati.

Ogni contenuto è originale e di esclusiva proprietà  MNR – Negri “Manara” Raffaele