Difficoltà : Percorso per Escursionisti Esperti T6-
Indicazioni : Assenti.
Bollatura : Assente.
Traccia : Mulattiera, sentiero, assente.
Tempo di percorrenza : ca 4 [h]
Dislivello positivo : ca 700 [m]
Periodo consigliato : Tardo autunno, Primavera.
Itinerario destinato esclusivamente ad avventurieri esperti e ben equipaggiati. L’isolamento opprimente, il terreno complesso e a tratti molto esposto e vertiginosa, la lunghezza dello sviluppo impongono un’esperienza non comune su terreni complessi e faticosi.
Disponibilità acqua : Nessuna.
Appoggi : Nessuno.
Data di stesura relazione : Primi anni venti.
DESCRIZIONE: Partenza da Pagnona, parcheggio alla chiesa di Sant’Andrea. Seguendo Via Roma, davanti ad una batteria di garage, una scala scende al prato dopo essersi tagliata un passaggio nella ringhiera. Qualcosa mi dice che sarà un lungo viaggio ritrovare l’asfalto.
Nei pressi della piazzola dell’elicottero la scala, fattasi sentiero, con strette volte selciate scende direttamente nel confuso bosco affiancando una vallecola (Valle della Cranda) superata poco prima su ponticello di cemento. Traversando a destra e scendendo ancora un poco, il sentiero selciato supera le tre cascine di Roncai passando tra di esse per continuare a proseguire in piano verso ovest. Ad uno slargo di carbonaia, si inverte la direzione e si giunge alla sconquassata recinzione in legno d’un vetusto orto. Da lì, raggiungendo il limitare del prato, si scoprono superbe serpentine di mulattiera, dai sassi disposti o dai gradini intagliati nella pietra, scendere lungo la ripida costa. Deviato leggermente a destra in zona colpita da schianti, la Via degrada a filo placconata verso Prier – imponente complesso agricolo a ridosso del torrente Varrone.
Ritornati all’Ajale prima della deviazione, proseguendo in piano si giunge ad un’isolata cascina su naturale terrazzo prativo. Sotto di essa un buon sentiero degrada in un cavo boscoso del pendio dopo aver superato un’onda di roccia su passerella di legno. Vecchie mappe alla mano invece, maledette loro, segnano l’antica Via per Ruvione rasentare questo prato sul suo orrido ciglio per gettarsi in un velenoso traverso sprotetto – letteralmente in caduta (gradini intagliati) sul meglio accomodato sentiero “moderno”. Comunque, con esso, tra muraglie di sassi a secco in parte e sotto ai piedi, si scende a quel “Ruviù” dalla cascina sventrata dall’erosione d’un ansa del torrente Varrone.
Ora, su ponticello posto sulla (qui) placida Valle di Novereda, un altro rudere quasi completamente rinaturalizzato apre all’operoso amore di una bella cascina arroccata su d’un dolce e basso promontorio – un pulpito dove il Varrone dalle acque inquiete mi sembra voglia portarsi tutto il Legnone al Lago per lo struscio. Alle spalle del porticato, passaggi lasciati ad hoc sulla ripidissima dorsale terrazzata, consentono di salire ad un rustico riparo posto in un antro di fascia rocciosa. Vagamente ma liberamente, si sale tenendo a man sinistra finché la costa non spiana d’un poco nei pressi di Spadola. Un primo nucleo di tre baite incuriosisce nella caratteristica mancanza (per due di loro) del tetto; collassato all’interno con un asportazione praticamente chirurgica delle pareti, livellate quasi perfettamente in piano allo stipite superiore delle entrate. Un paiolo è ancora attaccato alla catena del camino della stalla al primo piano; fa niente se il pavimento è collassato a terra. Mi domando che dolore arranchi ancora per questi luoghi, un’interruzione di vita impossibile da suturare.
In silenzio, traversato in diagonale (resti di selciato) verso la più luminosa costa ad oriente, si sale con essa ad altri due ruderi. Più in alto, un nuovo rudere apre a serrate serpentine sulla costa che da li a poco si vedrebbe rocciosa e segnata dalle meravigliose commoventi volte della Scalugia. Qui la possibilità, traversando un poco per rada traccia devastata presto da una ganda di frana, di scendere per volte a ridosso d’un enorme masso che, aggirato al piede, conduce, manco a dirlo, a Sassurnio – miserrimo gruppo di baite arroccate su d’uno stretto poggio e devastate da brutali schianti di quegli stessi castagni e noci che la tennero in piedi.
Dalla Scalugia fin oltre Berne, dove ecco avviarmi al traverso di longilinei prati contesi a monte da terrazzamenti e a valle da un onnipresente orrido ciglio proteso sulla irreprensibilità di Canton Rotondo al Muggio. Una tracciolina traversa un canale franato (valle del Lavinone) per proseguire ad un maestosa piazzola di carbonaia. Dietro al nerbo di monte che la contiene e che nasconde alla vista il proseguo, una serratissima cengia intagliata (fori per scomparsi passamani lignei) offre il brivido di alcuni passi su d’una provvidenziale radice che fornisce la superficie minima d’appoggio ad un piede umano.
Per Vallecola serrata ed esposta (Valle della Pianca), passata grazie alla protezione d’uno schianto, approdo ad un bosco verticale che diagonalizzo scendendo fino al rustico selciato che conduce a Colombera; uno tra gli insediamenti umani più remoti che conosca, dall’aria sinistra e feroce per il nero di un remoto incendio che decorò di oscuri motivi di disperazione travi e porta d’ingresso.
Una traccia se ne allontana lesta su massi disposti a mo’ di sedime in piano verso il turbamento di una nuova lunga esile cengia, esposta sopra ad un’impressionante salto mortale.
Una cascatella (Valle detta di Terruolo) mi investe a fine passaggio, una doccia fredda alla certezza di troppa luce oltre la costa successiva. Sassi disposti ordinatamente portano a traversare su d’una intagliata aerea cengia che adduce ad un bosco segnato da possenti terrazzamenti. Risalendoli tra schianti e frane si giunge ad un isolato rustico cascinale posto come torretta su uno di essi. Ai suoi piedi una vaga traccia ascendente tra terrazzamenti e ajali mena alla poco significativa Valle di Gallino. Oltre di essa si prosegue trovando un’anonima vallecola che, risalitala, deposita al cieco traverso che a destra mena a Pianchè mentre, in direzione opposta, su imponente rampa di sasso (corda di ferro) deposita agli agognati tornanti della SP67. Sono a Brugner; seduto a terra, spalle ad un castagno secolare e gambe slungate metà nel prato e metà su asfalto.
Oh, Colombera; come Colombo ti ho raggiunta pieno di fede, volando a te dai tuoi aerei sperduti sentieri che ti legavano ad un mondo che non c’è più. Liberata dal tuo guercio occhio di prato e dagli uomini arditi che t’han concepita, vaghi come visione d’orrore in lande di sogno – selvaggio scrigno in massi d’una fiamma sopita.
VIE DI FUGA : Non presenti, o almeno, non facilmente individuabili.
SUGGERIMENTI PER IL RITORNO : SP67 fino a alla vecchia Strada Comunale di Pagnona per Tremenico (vedere relazione in merito).
OSSERVAZIONI :
– Le difficoltà massime si raggiungono solo per visitare Colombera. Per il restante itinerario valutare T4/T5
– Praticamente impossibile rintracciare la Via per Colombera da Brugner.
– Il traverso per Pianchè porta ad un isolato cascinale dallo struggente abbandonato progetto di restauro. Terrazzamenti verso oriente lambiscono la caurga superata con la lunga serie di cenge incontrate dopo Colombera. Forse da qui è possibile risalire a Gallino ma l’inchiestata conformazione del terreno e della SP67 ne sconsiglia il tentativo.
RIFERIMENTI CARTOGRAFICI :
Zona rappresentata correttamente.
Tutti i diritti riservati. Ogni contenuto è originale e di esclusiva proprietà MNR – Negri “Manara” Raffaele
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