BOCCHETTA DI TAEGGIO DALLA VAL MARMINO

Premana – Alpe Domando – Alpe, Bivacco e Bocchetta di Taeggio – Baitel di Agnej

  • Difficoltà :

Fino in Sasorc : Percorso Escursionistico T2

Indicazioni : Buone;

Bollatura : Datata;

Traccia : Pista, mulattiera, sentiero;

Val Marmino: Percorso per Escursionisti Esperti T4+

Indicazioni : Minimali;

Bollatura : varia; datata o nuova, è generalmente affidabile ma parecchio scostante;

Traccia : sempre labile, a tratti assente;

  • Tempo di salita : ca 5 [h]
  • Dislivello positivo : ca 1500 [m]
  • Periodo consigliato : Luglio – Ottobre

Questo itinerario impone passo sicuro su terreno infido e non preparato. Qui, più che in alti casi, in ripetizioni estive come quella descritta, è richiesta un’ottima capacità di sopportazione per la vegetazione opprimente di molti tratti. Un’ottima visibilità è necessaria per navigare in alta Val Marmino.

  • Disponibilità acqua : Alpe Luere, Faedo e Domando
  • Appoggi : Nessuno (Bivacco di Taeggio)
  • Data di stesura relazione: Primi anni venti.

Questo itinerario è una riflessione sul privilegio della fame, dell’infinita forza e volontà che riesce a sprigionare.

Questo itinerario è una riflessione sul privilegio della fame, dell’infinita forza e volontà che riesce a sprigionare.

DESCRIZIONE: Partenza dalla zona industriale di Premana (parcheggio). Dopo i capannoni, raggiunte subito un paio di baite al di qua del torrente Varrone, si lascia la strada, oramai in vista dello splendido ponte ad arco di Maria Teresa. Si sale alle loro spalle immettendosi su di una secolare mulattiera. Magnificamente selciata, con esemplari serpentine tra superbi castagni, raggiunge un ameno poggio erboso con bella edicola votiva. Oltre si continua a salire, tra prati e cascine, sotto la mole imponente dell’abitato di Premana, mai così intimorente ed arroccato come visto da qui sotto. Si conquistano presto alcuni spogli edifici industriali, immettendosi immediatamente su Via Risorgimento. La si segue su asfalto, verso destra, fino al suo termine, in corrispondenza di un marcato tornate dove si stacca la pista di Fraina. Proprio dove questa inizia, un ripido sentierino sale verso monte permettendo di raggiungere il limite liberamente carrozzabile di Via Martiri di Cefalonia. Qui, poco più avanti, una scalinata di cemento consente di lasciare quella che ora è diventata la pista di servizio degli alpeggi per dirigersi verso la storica rete di mulattiere. Diretta all’Alpe Premaniga e Solino, di recente costruzione come la sorella per Chiarino, questa pista è il simbolo di uno sforzo sincero e tangibile di un paese che lotta nel tentativo di mantenere in vita un patrimonio storico e culturale immenso. Pista e mulattiere storiche non si intralciano infatti che in pochi obbligati tratti, lasciandoci così immergere nello squisito susseguirsi di alpeggi e libera campagna; quasi in grado di dimenticarci totalmente dello sporadico ed educato vicino passaggio di mezzi a motore, diretti ognuno alle necessità o alla familiarità della propria alpe.

Superato il ponticello della frazione di Creghencighe, ecco un nuovo tratto aperto tra prati. La selciata mulattiera, con i suoi commoventi muretti a secco, conduce al loch (maggengo) di Luere (lupaia) dove un maestoso fontanone con tetto a volta ha trovato regale collocazione nella potente suggestione scaturita dalla prossimità di vicinissimi antichi fienili e cascine.

Si prosegue, stupiti e deliziati, lasciando sulla destra la deviazione per il compattissimo loch di Mosnico. Alcuni cascinali isolati e si giunge in Faedo dove si vira a destra, diretti al loch di Domando. Un nuovo fontanile coperto, coronato dall’invadente rosa del mesebriantemo, avvia alla scoperta degli angusti viottoli tra le antiche case dove la fantasia si perde nel riconcorrere un’immotivata e struggente malinconia. Se ne esce turbati, seguendo i bolli di una DOL (Dorsale Orobica Lecchese) che qui non mette alla prova. Su sentiero si rientra nel bosco e si raggiunge il movimentato letto del torrente della Val di Premaniga; superato poi a mezzacosta un delicato tratto franato si raggiunge così anche la cappella dell’Alpe Piazzo. Lunghi saliscendi tra i giochi di luce ed ombra della selva permettono di giungere al ponticello sul vivace torrente della Val Marmino. Si prosegue oltre, in salita, fino alla cappella di località Sasorc. Su di lei, una rabboccata finissima facciata contrasta con un vecchio corpo di sassi a vista. Dentro, al cospetto della Madonna, incorniciati fazzoletti vecchi d’un secolo sono ricamati in modo commovente con motivi floreali. Questi altro non sono che il sentito ringraziamento per una grazia ricevuta. L’incanto profondo del momento, ed il suo palpabile mistero, non possono che essere la manifestazione di un potente Varco della cui presenza siamo già grati.

Un cartello CAI indica l’Alpe Taeggio ed il suo Bivacco attraverso il bosco alle spalle della cappella. L’oscurità cela un disordine nel quale una traccia, molto invasa da giovani boschetti di nocciolo, sembra faticare. Con rapide svolte traversa decisa verso est tra erba, rami e grossi massi; ma, oramai sotto la volta di un’armoniosa faggeta, va gradualmente delineandosi il marcato alveo di un’antichissima mulattiera. Con lei si sale decisi la Val di Busen, serpeggiando tra la graduale intromissione di abeti e l’abbandono dei faggi a favore di betulle e larici. Innumerevoli tornati dalla costante pendenza lasciano chiaramente intendere che questa era la via attraverso la quale l’alpe veniva caricata. Maestosi larici e regali faggi allietano il lungo risalire della Val di Busen fino al suo termine dove una compattissima ed aggettante parete rocciosa interrompe il proseguo. La traccia la rasenta avviando un traverso verso nord ovest in un rado boschetto di betulle dai bellissimi scorci panoramici. Si superano alcune coste minori dove nel bosco si rafforza la presenza dei larici i quali svettano sul pungente fieno magro punteggiato dal giallo dei fiori del senecio silvano. Ben presto se ne esce e la schiusa, di fronte ai nostri occhi, dell’alto bacino sommitale della Val Marmino ci colpisce inaspettata e violenta. Un’affilata e puntuta linea di cresta fugge verso il basso a folle velocità increspandosi in una miriade di canali e di salti rocciosi. La minuta Alpe di Taeggio appena appena intravista, abbarbicata su erba e rocce, dona un senso di vertigine a tutto l’imponente spettacolo.

Una nuova vallecola ed un breve piano traverso consentono di rimontare un’ultima spina dominata da un grosso masso; riferimento visivo fondamentale da fermare nella memoria per il ritorno. Un lungo traverso, in leggera discesa, parte alla sua destra. Subito ingombro di invadenti cespugli d’ontano e radi rododendri, si appresta vagamente a raggiungere il fondo sassoso di un primo canale. Intravistolo, ci si ritrova subito immersi in una sconfinata macchia uniforme che a quest’altezza tutto lambisce ed avvinghia; un’immensa ed ostile distesa, colorata del familiare giallo del senecio screziato qua e là dal viola dei fiori a grappolo dell’aconito. Petali e foglie celano ogni cosa alla vista, raggiungendo a volte tale altezza da essere d’ostacolo anche al respiro. Il loro gambo legnoso è un serio impedimento al procedere e l’avanzare in questa rigogliosa moltitudine è incredibilmente penoso. Oltre il primo sassoso canale e dopo alcune boccate d’ossigeno la situazione peggiora. La pendenza del pendio da traversare ed alcune piante riverse al suolo corrono a dare man forte alla schiera floreale. La direttrice e l’altezza da impostare sono spesso dubbie e il difficile ripido terreno risulta pericolosamente difficile da prevedere con una vista così occlusa. Un secondo sassoso canale apre ad una costa dove cespugli di lamponi e mazzi d’ortiche s’inframmezzano agli avversari già noti, non essendo però altro che la retroguardia di un esercito oramai vinto. Il proseguo ora è soave, all’aperto, su fieno magro, volteggiando attorno a radi poetici larici; si sfilano grossi massi sui quali campeggiano bolli segnavia biancorossi, sempre alla ricerca dei marcati ma obliati segni di antico passaggio. Un tetto di piode svetta oltre un’onda d’erba; l’alpe di Taeggio è raggiunto. Una sventrata sosta ai suoi piedi dona imponenza alla Baita del Pastore, dietro alla quale un tratto crollato la separa dal lungo e rustico stallone; tutto è fatto sapientemente a sassi. L’innegabile assoluto dominio della Montagna su ogni cosa è un giogo a cui è dolce sottostare.

Onorati di calcare tanto palcoscenico si prosegue, invero abbastanza spiazzati ed ebbri. Alle spalle dell’Alpe, sul pascolo in cui si notano sparsi mucchi di sassi, un nuovo cartello del CAI ci indica, diametralmente opposti Premaniga ed il bivacco di Taeggio. L’occhio esperto e ricco di decimi il bivacco l’ha già individuato; defilato ai piedi d’una parete rocciosa che sorregge la Bocchetta di Taeggio. L’indicare invece, qui, così, Premaniga equivale a dare l’idea di poter raggiungere Bisanzio. Due bolli, di numero, scrostati e sbiaditi, sembra zoppicano nella direzione del bivacco. Alcune marcate ma mendaci tracce traversano a varie altezze i molti canali che solcano la Val Marmino; esse sono solo vecchi sentieramenti creati dal pascolo degli armenti, destinati a perdersi in nulla. Il proseguo non è obbligato e le si può seguire ed abbandonare abbastanza liberamente, sempre se si è coscienziosamente sicuri di farlo. Comunque il tracciato ufficiale, ed anche il più diretto, prevede un lungo taglio in diagonale fino al bivacco. Cominciato a traversare all’altezza di due grossi larici, il raggiungere il primo canale è una lotta impari contro gli ontani che hanno abusivamente occupato la traccia obbligano ad un delicato e spossante procedere su ripida erba. Oltre, i bolli suggeriscono, in modo poco persuasivo e nient’affatto chiaro, di lambire uno strapiombo e di abbandonare poi una marcata traccia di pascolo nel prato per seguirli in un susseguirsi di canali e coste con scaglie di rocce incastonate. L’avanzare, senza traccia a terra alcuna, impone solo passo sicuro ed una certa attenzione per il carattere sempre mendace delle gibbose zolle di pungente erba olina. Un rado ed idilliaco boschetto di radi larici e si raggiungono le erbose pendici della balza su cui è in scena il lento ed inesorabile declino del bivacco di Taeggio.

Ol Bareck de Taecc, ricostruito in sasso con i materiali originali ed attrezzata come bivacco ai tempi della creazione dell’Alta Via della Valsassina come necessario punto d’appoggio intermedio, è ora poco più che un ricovero d’emergenza. La stessa porta di legno, forse a causa di un piccolo collasso laterale dell’intera struttura, non lascia che un minuscolo ed angusto spiraglio per entrare. Dentro c’è un’artigianale stufa, una panca, un tavolo ed un inutilizzabile quadro elettrico per attivare l’illuminazione che può fornire un singolo pannello fotovoltaico. Una scaletta a pioli porta al soppalco del piano superiore; autentica “zona notte” in cui lo stato dei traversi di sostegno non garantisce affatto i migliori sogni d’oro. Fuori dal bivacco però, una natura bellissima ed incontaminata pasce indisturbata.

La Bocchetta non è molto lontana ma necessita un nuovo grande tributo d’energie ed attenzioni. Lasciata a mezzacosta una marcata piana traccia che si allontana in entrambe le direzioni dal bivacco, si comincia a salire sulla massima pendenza in decisa direzione Nord. In una zona di sfasciumi si ritrovano i bolli che, adocchiata un erta costa sulla destra idrografica della valle terminante alla Bocchetta, la risalgono direttamente, prima di traversare (cavo d’acciaio divelto in loco) al centro dando così il via all’assalto della ripidissima rampa finale.

L’emisfero settentrionale è di fronte a noi che ci ergiamo adesso sull’equatore. La Val Lesina che si vede snocciolare ai nostri piedi non dà l’idea delle sue reali dimensioni; giù fino a Delebio, in Valtellina. A destra e a sinistra una affilata linea di cresta fino a dove cuore osa spingersi. Siamo sull’Alta Via della Valsassina, nel selettivo aereo percorso che unisce Pizzo Alto e Monte Rotondo; un cartello ce lo ricorda. L’Alpe di Taeggio da cui proveniamo è ben visibile ed una isolata sosta tutta a sassi è individuabile parecchio più a monte, a circa metà altezza tra l’Alpe e la cresta, servita da labili ma chiare serpentine.

Noi subiamo l’impronta della vita che ci capita ma che soprattutto decidiamo di vivere, nei posti e con le persone che amiamo, attraverso i profumi in cui ci immergiamo, tramite la luce che lasciamo ci travolga e il vento che lasciamo che ci sferzi. La decisione è perciò presa, si torna all’Alpe per andare a far conoscenza con la piccola stalla intravista. Questa decisione, la fa sembrare, all’atto pratico, quanto di più simile possibile ad un’illusione. La traccia è intuibile solo a tratti. Le serpentine, marcate un tempo nel fianco della montagna, hanno dato riparo a larici che han trovato spazio dove crescere fino ad esser forti abbastanza da non aver più paura di vento e slavine. La traccia era intuibile dall’alto solo come successione di questi o di altri rododendri e che ora ingombrano spesso quasi totalmente il passaggio. Si procede liberamente quindi, cercando a tastoni quell’umano segno di passaggio fino ad inciamparci letteralmente addosso. Una minuscola stalla, in pessime condizioni, divisa in tre porzioni. Muri di sasso e tetto in piode. Esso è il Baitel di Agnej (ricovero d’agnelli), un autentico monumento alla fame.

La fame, questo continuo languore delle viscere che costringe anche me, uomo o donna dell’età dello spreco, a falciare ampio e rasoterra e a portare flebili speranze in alti pascoli. Non si potrà mai saziare la fame di vita. La si potrà forse ingannare, sedandola, ma guai! La Vita perciò latita; offesa, assillata. Il braccarla, affamati, in angoli sperduti come questo dove potrebbe essersi rifugiata, è un gioco in cui più ti sembra d’esserti fatto prossimo a Lei e più questa ti scappa. Qui, oggi, però, la sento vicina. O forse solo un poco meno lontana.

VIE DI FUGA : Non presenti oltrepassato il varco. Progressione abbastanza libera.

SUGGERIMENTI PER LA DISCESA : Accettato il richiamo della suggestione del Baitel di Agnej il ritorno è d’obbligo sui propri passi. Alla Bocchetta di Taeggio è possibile, unicamente se adeguatamente allenati e preparati, seguire l’Alta Via della Valsassina verso il Monte Rotondo ridiscendendo poi comodamente in Val Fraina dalla mulattiera militare della Linea Cadorna.

CURIOSITA :

Dopo l’Alpe Domando, alcuni cartelli segnavia indicano un “percorso consigliato” volto ad aggirare il tratto franato prima dell’Alpe Piazzo. Complice la maggior strada da fare, nessuno sembra seguire tale “saggio” consiglio tanto che i poveri cartelli (uno prima e uno dopo la frana) indicano miseramente un bosco tanto ingombro di vegetazione da renderla a tutti gli effetti una variante decisamente sconsigliata.

APPROFONDIMENTI

RIFERIMENTI CARTOGRAFICI :

  • Carta 1:35000 “GRIGNE – RESEGONE – CAMPELLI – TRE SIGNORI – LEGNONE”

Decisamente approssimativa e anacronistica la cartografia di quest’angolo di mondo. Alpe di Taeggio rappresentata sulla sinistra idrografica del primo canale del traverso verso il bivacco. Traverso per il bivacco rappresentato come buon sentiero e salita alla Bocchetta indicata come traccia visibile. Rappresentate senza logica alcuna alcune tracce fuorvianti di pascolo compresa quella per il Baitel di Agnej (non indicato). Sentiero Premaniga/Taeggio rappresentato ben marcato. Segnati ben marcati anche i sentieri per l’Alpe di Taeggio; sia quello della Val di Busen (relazione) sia quello (perso) che ricalcherebbe integralmente la Val Marmino dal ponte.

 

RIFERIMENTI BIBLIORAFICI :

  • Ivo Mozzanica : “Itinerari in Valsassina e Valvarrone”

Discesa dalla Val di Busen dopo aver raggiunto l’Alpe di Taeggio da Premaniga. Descrizione sbrigativa.

 

  • Alessio Pezzotta: “ ALPI OROBIE OVER 200 – VOLUME 1”

Salita dalla Val di Busen per raggiungere, dalla Bocchetta di Taeggio, sia il Pizzo Alto che il Monte Rotondo. Descrizione sbrigativa.

 

Tutti i diritti riservati. Ogni contenuto è originale e di esclusiva proprietà  MNR – Negri “Manara” Raffaele

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