STRADA DEI MOLINI

Vestreno - Ganda - Bruga - Molini - Rorrè - Introzzo

  • Difficoltà : Percorso per Escursionisti Esperti T5+

Indicazioni : Assenti.

Bollatura : Assente.

Traccia : Mulattiera, sentiero, assente.

  • Tempo di percorrenza : ca 4 [h]

  • Dislivello positivo : ca 300 [m]

  • Periodo consigliato : Tardo autunno, Primavera.

Itinerario destinato ad avventurieri esperti. L’isolamento opprimente, il terreno complesso a tratti esposto, e le oggettive difficoltà di orientamento impongono esperienza nella lettura storica del territorio e molta predisposizione alla fatica ed all’umiltà.

  • Disponibilità acqua : Vestreno.

  • Appoggi : Nessuno.

  • Data di stesura relazione : Primi anni venti.

La Valle dei Molini (detta anche Val da Racc, ovvero “della Roggia”) divide i comuni di Sueglio/Vestreno da Introzzo. Quale severa forra, venne ingegnosamente usata (da qui il nome) per alimentare numerosi mulini ad acqua installati nei suoi pressi ed usati per la macina dei cereali eroicamente coltivati sugli arditi terrazzamenti eretti intorno ai paesi. Anticamente, cioè prima della carrozzabile del Cadorna (SP67), due sole Vie la superavano. La prima, alta e nevralgica, era la Strada Comunale tra Sueglio ed Introzzo; una superba mulattiera (oggi ampiamente ricalcata dall’asfalto) che mostra ancora un commovente ponte in pietra sull’ultimo residuo tratto selciato nei pressi del restaurato, grande, Molin dol Pifanel proprio in Valle dei Molini. L’altra, invece, più bassa ed oggi totalmente perduta, era la cosiddetta Strada dei Molini che serviva a convogliare, in un più modesto e frammentato impianto di macinazione, le granaglie provenienti dai terrazzamenti stesi sulle verticalità addomesticate a separazione dei paesi di Vestreno, Sueglio ed Introzzo dal tormentato Varrone.

La Valle dei Molini (detta anche Val da Racc, ovvero “della Roggia”) divide i comuni di Sueglio/Vestreno da Introzzo. Quale severa forra, venne ingegnosamente usata (da qui il nome) per alimentare numerosi mulini ad acqua installati nei suoi pressi ed usati per la macina dei cereali eroicamente coltivati sugli arditi terrazzamenti eretti intorno ai paesi. Anticamente, cioè prima della carrozzabile del Cadorna (SP67), due sole Vie la superavano. La prima, alta e nevralgica, era la Strada Comunale tra Sueglio ed Introzzo; una superba mulattiera (oggi ampiamente ricalcata dall’asfalto) che mostra ancora un commovente ponte in pietra sull’ultimo residuo tratto selciato nei pressi del restaurato, grande, Molin dol Pifanel proprio in Valle dei Molini. L’altra, invece, più bassa ed oggi totalmente perduta, era la cosiddetta Strada dei Molini che serviva a convogliare, in un più modesto e frammentato impianto di macinazione, le granaglie provenienti dai terrazzamenti stesi sulle verticalità addomesticate a separazione dei paesi di Vestreno, Sueglio ed Introzzo dal tormentato Varrone.

DESCRIZIONE: Partenza da Vestreno; parcheggio del centro sportivo. Tornati verso Via Roma (ovvero verso l’originale sviluppo della carrabile SP67 del Cadorna) la si abbandona per scendere una rampa cementata di fronte a dei parcheggi. Proseguendo tra potenti scorci paesaggistici sul Muggio e sul Legnoncino, si giunge ad un osceno caseggiato incompiuto prima di un’antica abitazione (deliziosamente restaurata) presso la contrada della Selva. Qui, un vicolo scende senza nome fino a delle gradinate di marmo che sembrano portare solo in casa di qualcuno ma che, invece, menano ad un prato. Gli inerbati ciottoli del selciato della Strada per Gandé conducono ad un corso d’acqua strettamente irregimentato e, dopo i brevi, fatui, baloccamenti d’un percorso sensoriale adibito per gli ospiti di un B&B, lo storico sedime degrada sull’asfalto della SP67 finendo (apparentemente) nel nulla.
La lucente zincatura del guard rail nuovo di pacca mostra però due sgraziati segni verticali a vernice seguiti da due bande orizzontali tirate sull’asfalto nero di nuova stesura. Quale zona indicata per una “futura” interruzione della protezione degli automobilisti, l’occhio esperto la riconosce invece come il formale rispetto di un’antica servitù di passaggio e come segno del proseguo del cammino.

Scavalcato l’ostacolo, una traccia sorretta da muretto a secco passa al piede di un grosso castagno perdendosi in un piccolo prato. Tenendo la direzione, eccola ricomparire nel bosco per superare con il suo provato selciato il corso d’acqua della Valle del Buco del Cane. Spalleggiata da imponente muraglione, si affaccia su d’uno spaventoso baratro prima di scendere con ripidi gradini sorretti da muro a secco verso una vasta zona di schianti. La luce che arriva dal cielo attiva atavici allarmi da bassa quota in me ma, provvidenzialmente aiutato da vecchi pesanti tagli e camminando spesso sotto un manto di rovi che oscura il sole, ritrovo la Strada di Gandé che prontamente smette di traversare per cominciare finalmente a scendere.
In piano invece, incredibile a dirsi, diparte verso oriente la Strada per la Ganda. In atto d’estrema umiltà, striscio sotto ad una pianta schiantata per calare poi per ripida riva terrosa fino al fondo della Valle d’Olana. Superatola facilmente, un terrazzamento più stretto e basso degli altri – inadatto alle colture poiché largo poco più d’una schiena d’uomo – manifesta così palesemente la sua natura di antica Via da renderlo irresistibile. Seguendolo a fatica tra schianti e rovi, o più agevolmente sul terrazzamento che la sormonta, saltato con un balzo un rigagnolo strettamente irregimentato si perviene presto ai fatiscenti ruderi della Ganda. Proseguendo in piano sul terrazzamento oltre l’abituro e la stalla si supera su stretto passaggio un grosso masso per cominciare poi, per le tipiche scalinate di pioli a sbalzo, a scendere tre risalti artificiali del pendio. Chiaramente al piede d’un megalitico canino di roccia infisso nel pendio, in piano si traversa fino ad un’aerea costa – confine naturale dei domini del comune di Sueglio.
Cominciando a salire il devastato pendio – striato di rustici terrazzamenti eretti a disperato tentativo di addomesticamento di rotte scaglie di roccia e ciclopici lisci massi – mi fermo incredulo al quadrangolare muretto residuo della prima baita di Bruga. Passandola sulla destra, una rustica gradinata mi prende in consegna elevandomi fino ad un ennesimo nerbo roccioso del pendio che, tra le sue aspre grinze ricoperte di verde muschio traditore, nasconde una provvidenziale serie di gradini di sassi disposti. Al ricovero neolitico ricavato nel cupo antro d’un occhio di questo mostro di pietra, si devia a sinistra trovando nuove scale di sasso che depositano ad un largo solco terroso (trasversale al dirupato ed ormai familiare fianco del Legnone) punteggiato verso oriente di sinistri resti di cascinali distrutti con cattiveria primigenia da spaventosi arborei schianti.

L’umana presenza non è ben accetta in questo luogo perduto. Lo sento chiaramente. Ritornato velocemente sul proseguo della Via, una morbida S di mulattiera bordata di muri s’intrufola in una luminosa zona di schianti – disseminata di pattummiera – ed al piede d’un contrafforte di roccia. Uscendo con gradini intagliati nella sua viva carne, per traversi più appoggiati prosegue fino ad una più antropica zona di terrazzamenti.
Ora, a destra, eventualmente, si può uscire nel presente (per terrazzamento inclinato e poi per rampa cementata creata ad hoc per lo scarico delle immondizie dal tornante sotto Vestreno ) della “nuova” SP 67. Oppure, meglio, continuare a proseguire nel misterioso gorgo del passato per ripide tirate di gradini. Queste terminano ad un altro stretto e basso terrazzamento che la giornata di oggi ha già insegnato essere inconfuntabile segno di Via. Così, sulla Strada dei Molini ritrovata dopo l’oblio intorno al paese di Vestreno, si prosegue verso est asfissiati dai rovi e dagli schianti; meravigliati del suo passare su sterili onde rocciose del pendio per consumare il minor quantitativo possibile di terra fertile. Chissà cosa penserebbero oggi di noi spreconi i nostri avi?
Giunto ai miseri resti di due vicine baite, supero il ramo occidentale della Valle dei Molini su scala selciata, finendo su d’una esposta cengia insidiata dai rovi e da un’antipatica ginestra. Al suo temine, trovo gradini intagliati e tornanti che scendono decisi fino al severo nero gorge del ramo orientale della Valle superata poc’anzi. Per delicato conoide franato aperto sul nulla, gradini di sassi disposti aiutano a saltare in groppa ad una cengia naturale (ma parzialmente sorretta da un muretto) che mi indirizza all’alveo del torrente. Quand’ecco, in sinistra idrografica, che meraviglia! Tre mulini ad acqua disposti in serie mostrano ancora il trittico di pietre della struttura di sostegno della macina, degli alberi di trasmissione e della ruota adibita a presa di forza.

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Il mistero di questo luogo stride con quanta vita vissuta trasuda. Un vociare sommesso, sempre più insistente, mi sospinge via ancora affamato di conoscenza verso una chiara umida cengia ascendente che, ben gradinata naturalmente, punta invitante al cielo.

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Girato l’angolo appena in vista, nuovi gradini intagliati schiudono ad un esposto passaggio verso la più appoggiata costa a delimitazione orientale del regno di sott’Introzzo. In piano, per chiaro passaggio tenuto aperto da grossi ungulati, si arriva al primo dei due cascinali di Rorrè.

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Saliti al secondo di essi si supera la successiva omonima Valle per terrazzamento/cascata e, per percorso mai banale tra i terrazzi inghiottiti dai rovi, si giunge finalmente all’agognata Strada Comunale per Promaso nei pressi del ponticello sulla Valle del Cerasolo.

Con la pace ritrovata al termine della prova, non riesco a pensare che a quei mulini, a quelle pietre sagomate ed infisse nella terra come il più umano dei templi eretti alla Vita ed alla sua Bellezza. In questo tempo di abbandono, di brutture e di guerre per accaparrarsi risorse lontane, non riesco a smettere di pensare all’immagine di tutti questi coraggiosi terrazzamenti messi a frutto e ai pacifici campi di segale ed orzo ad abbracciare paesi e cascinali. L’infinita fatica di gente povera; ma libera ed onesta!, dalla stessa caparbia forza dei sui torrenti a picco nel Varrone.
Abbiamo perso l’arte di stare al mondo. Io non ho null’altro da dire, e con il solito groppo alla gola riprendo il cammino, saggiandomi l’anima e mettendo alla prova le mie membra.

Acta_Eruditorum_-_IV_idraulica_molino,_1709_–_BEIC_13373207

VIE DI FUGA: Oltre all’uscita su asfalto già menzionata in relazione, un’altra possibilità di raggiungere la Provinciale è quella, al primo guado della Valle Dei Molini, di risalire direttamente, per baite diroccate e rovi, ad uno spiazzo prativo sotto la verticale del chiesone di San Martino a Sueglio.
OSSERVAZIONI: La Strada dei Molini nasceva a Vestreno, proprio ai piedi della Chiesa. Presa quella Via Roma che oggi la ricalca, al successivo ripasso della Provinciale questa soccombe definitivamente anche quando, mappe alla mano ed ormai di nuovo distinta nel suo sviluppo, si fa il tentativo di ricercarla tra i rovi sopra l’alto ciglio a monte dell’asfalto.
SUGGERIMENTI PER IL RITORNO: Ad Introzzo si sale per vicoli fino alla chiesa di Sant’Antonio Abate a monte dell’abitato. Da lì, presa la cieca Via per Sueglio, altro non si attende che il ritorno del selciato e l’incontro col Molin dol Pifanel ( “dell’Incannatoio” su IGM).

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A Sueglio, preso il porfido di Via Cappelletta, si trova la selciata Via Comunale per Vestreno e per casa.

APPROFONDIMENTI

RIFERIMENTI CARTOGRAFICI :

  • Mappe dei Regni Lombardo-Veneto e d’Italia

Zona rappresentata correttamente.

Tutti i diritti riservati. Ogni contenuto è originale e di esclusiva proprietà  MNR – Negri “Manara” Raffaele

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