SENTIERO DI NIM
Bellano (Lezzeno) – Noceno – Camaggiore – Senteer del Gac
Difficoltà : Percorso per Escursionisti Esperti T5
Indicazioni : Assenti.
Bollatura : Nel solo traverso dei valloni radi e stinti (del tutto inaffidabili) bolli arancioni o blu.
Traccia : Sentiero – Assente – Pista
Tempo di percorrenza : ca 7 [h] per arrivare alle cave.
Dislivello positivo : ca 1100 [m]
Periodo consigliato : Autunno – Primavera.
Le difficoltà tecniche di progressione non supererebbero che saltuariamente il grado T4 ma le difficoltà d’orientamento e di navigazione, l’isolamento opprimente, l’impossibile difficile logistica di contorno lo rendono a tutti gli effetti un itinerario per autentici avventurieri che sanno cosa vogliono e come ottenerlo.
NB: non è ovviamente consentito l’avvicinamento e l’attraversamento, nonostante la presenza della strada comunale di Lentree, delle cave.
Disponibilità acqua : Noceno – Camaggiore
Appoggi : Rifugio Ragno a Camaggiore
Data di stesura relazione : Primi anni venti.
Il selvaggio vello boscoso steso sui domini della Val Larga - ripido, dirupato e segnato da intransigenti valloni - ha da sempre separato la soliva Muggiasca dai maggenghi varronici esposti a bacio. Un tempo qualche carbonaio si spingeva da Camaggiore per quelle lande ombrose (sempre e solo in destra idrografica) in cerca di misero sostentamento mentre solo pochi cacciatori s’arrischiavano fino a “discendere alle cave” per accedere in Valvarrone. Oggi, al collasso della conoscenza collettiva di Storia e Luoghi, il chiedere di quella possibilità di passaggio crea ignava perplessità o viscerale repulsione al pensiero del mistero e della solitudine che regna sotto la spensieratezza di Camaggiore. “Sentiero di Nim” è dunque il nome di questo fortuito passaggio a Nord Est tra quei valloni e che - esattamente come il sentierino che rasenta il ciglio del terrazzamento, usato dal montanaro per la potatura della sua vigna negli infiniti perduti frutteti della Valvarrone solatia – apre al suo temine (come su d’una cieca riva terrazzata!) ad un intenso salto per le cave e ad un nuovo sentiero: quel perduto “Gac” per Lentree, proveniente dalla lontanissima Vignago sopra Dervio.
Il selvaggio vello boscoso steso sui domini della Val Larga - ripido, dirupato e segnato da intransigenti valloni - ha da sempre separato la soliva Muggiasca dai maggenghi varronici esposti a bacio. Un tempo qualche carbonaio si spingeva da Camaggiore per quelle lande ombrose (sempre e solo in destra idrografica) in cerca di misero sostentamento mentre solo pochi cacciatori s’arrischiavano fino a “discendere alle cave” per accedere in Valvarrone. Oggi, al collasso della conoscenza collettiva di Storia e Luoghi, il chiedere di quella possibilità di passaggio crea ignava perplessità o viscerale repulsione al pensiero del mistero e della solitudine che regna sotto la spensieratezza di Camaggiore. “Sentiero di Nim” è dunque il nome di questo fortuito passaggio a Nord Est tra quei valloni e che - esattamente come il sentierino che rasenta il ciglio del terrazzamento, usato dal montanaro per la potatura della sua vigna negli infiniti perduti frutteti della Valvarrone solatia – apre al suo temine (come su d’una cieca riva terrazzata!) ad un intenso salto per le cave e ad un nuovo sentiero: quel perduto “Gac” per Lentree, proveniente dalla lontanissima Vignago sopra Dervio.

DESCRIZIONE: Partenza da Bellano, parcheggio del Santuario della Madonna delle Lacrime di Lezzeno (Léscén). Terminata la scalinata una panoramica terrazza s’interpone tra l’intimorente imponenza del Santuario ed un’eterea, e nel silenzio del primissimo mattino quasi sacrale, vista su Bellano e sul Lago. Il peso della destinazione che ho cucito addosso mi porta a ricercare i passi inversi di quel povero contadino, Bartolomeo Mezzera, baciato dalla fortuna della grazia divina in quel 6 agosto del 1688. Lui, di ritorno dalle fatiche del giorno, vide qui un’icona mariana lacrimar sangue e corse ad avvertir tutti in paese – io, diretto ad una leggenda vecchia di più di due secoli, girato dietro al santuario, all’imbocco della stessa mulattiera da cui lui proveniva, trovo invece quell’edicola votiva malconcia, vuota, malamente “riempita” con una fontanella pubblica. Se vedrò lacrime oggi non saranno qui e, salutato il Bartolomeo, mi appresto fisicamente e mentalmente ad andare a trovare il Nim.
Una bella mulattiera acciottolata sale cintata da muri in sasso verso un nuovo edificio di culto in mattoni che si lascia velocemente sulla destra (Cappella del Miracolo). Superato un rivolo (Valle di Lezzeno) su d’un ponticello si sbuca alle vecchie case della frazione di Gora. Presa la SP66 per Vendrogno, la si segue in direzione di Bellano fino a che uno scassato antico tratturo non ve ne si stacca a monte in leggera salita. In piano, non appena il canticchiare della vicina Val dei Molini (più sopra, a Noceno, Val Grande) si fa prossimo, un sentierino malconcio orlato di marci passamani scende lungo la selva. Seguendo la dimenticata Vecchia Strada alcuni fradici spettacolari gradini intagliati nella viva roccia (attenzione!) permettono di raggiungere il guado e di godere, da un pulpito insolito, dello spettacolare ponticello pedonale della Strada Nuova.

Sull’altra riva sono le cascine del Tiin della sparpagliata frazione di Soglio e la Via tra i prati, preso il nome d’Orio, incantevole ed appartata come non mai. Salutate le ultime antiche costruzioni a monte del prativo si lascia a sinistra l’immissione della mulattiera per Pendaglio e, imboccata una suggestiva oscura rampa gradinata, cinta da oppressive troppo vicine mura, si sale a tornanti fino ad alcune antiche abitazioni diroccate. Rasentando la Valle di Orio nuovi strazianti pittoreschi scorci commuovono all’immissione della Via della Val di Magni proveniente anch’essa da Pendaglio. Ora, le tante vie riunitesi qui, nel vasto regno di Soglio, possono finalmente tramutarsi nella Strada per Noceno, e l’inizio è emblematico ed assai magnifico.
Una rampa, superbamente selciata e gradinata, sale sotto l’imponenza d’un settecentesco palazzo diroccato. In torno ad lui ed alla sua magnificenza perduta, gravitano altre fatiscenti cascine ed alcuni approssimativi restauri. Ma ormai non ho occhi che per lei, la sinuosa Strada per Noceno. Con mille e più gradini acciottolati, tra qualcosa come una quarantina di tornanti, conduce più o meno trascurata tra le selve abbandonate e le cascine diroccate dei Ronchi.

Superata la Vallecola della Tana ed un isolata edicola votiva le svolte della Via si fanno serrate al filtrare di sempre maggior luce tra la chioma del bosco. Ben presto tetti sbucano contro cielo e le viuzze di Noceno mi si serrano presto addosso ed è divertente lasciarsi stupire tra angoli di dura originalità ed altri di maggior accomodatezza con le profondità di Lago e Cielo in imperitura sfida sullo sfondo.

Raggiungendo la sommità del compatto abitato una scassata mulattiera s’intrufola veloce tra i castagni a monte di Noceno. Un tempo superba come quella percorsa fino a Noceno (ma che ora mostra solo radi tratti selciati) con immutata sicurezza conduce ad un edicola votiva e a radi diroccati cascinali. Superata la Valle di Ruina (immissaria di Val Grande) dove la Via si riduce momentaneamente a franato sentierino, per superbo traverso (con nuova edicola) si giunge alla scalinata del Monte Basso di Camaggiore.
Un compatto maggengo di fatiscenti (qualora non propriamente in rovina) antichi cascinali, stalle e fienili impone una pausa al procedere. Tra castagni secolari si sale a volte in direzione nord verso l’ormai prossima e patinata Camaggiore. Come fuori dai flutti, respiro ampie boccate di luce nell’approssimarmi alla Chiesetta di San Girolamo dove la vista può finalmente veder in lontananza dividersi i due rami del Lario.

Ma non mi fermo, come calamitato da qualcosa di infinitamente potente e suadente, seguo la turistica stradicciola con passamano fino alla curva che apre alla Sosta di Camaggiore. Qui, davanti all’imponente e selvaggio spettacolo d’una ValVarrone stagliata contro le morbide onde di pascolo di Camaggiore, un freddo reale e fuori stagione mi scuote d’un umanissimo brivido.

Puntando alla Val Larga con discrezione, si abbandonano i prati per un sentierino che molto saggiamente attraversa il budello d’un primo rivo e l’alveo d’un più tranquillo secondo torrentello. Dopo qualche tratto arbustivo, un magico Bosco di Betulle e felci di sublime spaziatura e luminosità si apre davanti ai miei occhi e dove è facile immaginarvi Sant’Uberto a caccia del suo cervo.
Con l’ingresso dei faggi nella composizione boscata, alcuni esemplari secolari si ergono a scorta della Via fino al primo dei Valloni che segnano questo fianco di Muggio tra la val Larga ed il Foppone. La Valle dei Fontanini è davvero un luogo fuori dal tempo; dove il bianco spumeggiare dei salti regolari del torrente sembra rischiarare il buoio silenzioso del bosco. Oltre, fuori per pozze di fango, si procede su traccia ballerina fino alla successiva costa degli ajali – dove il più grosso e basso di tutti mostra un crocefisso di ferro incastonato in una piega dell’argentea pelle d’un anziano faggio.
Si scende ora alla Val di Febbre per radura e roccia appoggiata che permette di guadagnarne il fondo e, per breve angusto tratto, si esce ad una costa segnata marginalmente da alcuni tagli del bosco. Bolli arancioni portano a traversare e a scendere per delicato traverso franoso (esposto su precipizio) alla successiva Anonima Valle. L’uscirne è il puntare al poggio d’una costa rocciosa che, appena voltata, apre ad una spettacolare cengia.

Superato su foglie (attenzione) il successivo budello, un passetto di roccia deposita sull’ultima costa segnata dal sentiero del Nim. E’ ora di scendere.
Seguendo la dolce e regolare pendenza del bosco, si giunge in una zona dove alcuni vecchi tubi di ferro abbandonati emergono o giacciono sparpagliati sul pendio. Seguendoli, si vorrebbe quasi sgridare i bambini a cui la mamma non ha insegnato a riordinare la cameretta dopo i giochi, ma la transizione tra l’intimità di vedute del bosco e gli sconfinati spazi varronici è stata davvero troppo breve. Sono sdraiato, affacciato sulla più occidentale delle cave di feldspato, proprio in faccia a Tremenico.
Una dissestata pista, poco più che una vorace ruspata, mi prende in consegna accompagnandomi nella discesa. La ripidità della costa è ora spaventosa e i tornanti della “strada abbandonata”, spesso affacciati sul vuoto della cava ed ingombri d’alberi e massi, molto delicati e spaventosi. Raggiunto un fatiscente capanno di minatori continuo a scendere per quasi accresciuta verticalità tanto che alcune tirate di pista mostrano ora mura di sostegno in cemento. Il timore che questa possa infilarsi nella montagna è plausibile e presto diventa reale paura al mostrarsi del fondo della cava; un oscena piana piazza curata da neri ciechi occhi.

Morendo al lembo della cava, la ruspata mi lascia libero di discendere al fondo per massoni e ghiaie. Prendendo l’ampio arco più a sinistra una nuova piazzetta ingombra d’attrezzi e oggetti di scavo s’affaccia su di un’ultima erta china che, scesa, porta ad un breve mozzicone di pista e ai miseri maciullati resti della Strada Comunale detta di Lentree o del Gac.
Il pensiero corre a quei valloni riconoscendoli simili a queste cave; posti destinati solo per gli ultimi tra i più miseri. Ma se tra quelle chine boscose è rimasto un sentierino e qualche ajale, queste cave resteranno a perenne monito; la bruttezza del mondo perpetrata dalla cupidigia di pochi ed eseguita dall’innocenza, ridotta alla fame, di molti. Perché, se la vera ricchezza è il numero di cose di cui si può fare a meno, non fatto mancare al mio corpo quel poco di sostentamento materiale che gli si deve, in questi mistici errabondaggi nelle terre del mistero e della paura sono stato inondato di fortuna. Con gli occhi lacrimanti gioia corro ora tra le polverose strade del mondo ferendo i miei polmoni con la voce d’uno che grida nel deserto.
VIE DI FUGA : Fondamentalmente non necessarie.
CONSIDERAZIONI:
– Il Sentiero di Nim, pur difficilmente ripetuto integralmente, trova sporadica frequentazione solo nei primi canali (oltre a qualche sporadico cacciatore) in poche giornate autunnali da parte di fungiatt che discendono le coste boscose del Muggio prese dalla pista silvo pastorale (ol stradoon) dell’acquedotto.
– A voler proseguire il traverso impostato dal sentiero del Nim, si seguono radi ed imprevedibili stinti bolli blu fino ad un grosso ajale con faggio secolare. In piano si avanza verso la costa dove un provvidenziale passaggio con rampa porta al fondo della Valle del Quaj (tana) dell’Orso. Poi, fuori in piano, si giunge fino ad un nuovo ajale con muretto a secco e, girata la successiva costa, con l’ultimo piccolo spiazzo di carbonaia termina quel sentore di traccia storica seguito fino a qui. Il voler proseguire oltre si scontra con il dirupato versante della valle di Masoncio e dove i bolli (adesso arancioni e pressoché invisibili per quanto sbiaditi e distanziati), ben prima, sembrano liberamente invitare a salire verso la pista silvo pastorale (non verificato).
– Non posso ovviamente sapere se la strada della ruspa fosse già a suo tempo utilizzata dai cacciatori citati nell’introduzione o se, prima delle cave, ci fosse (su quella o su di un’altra costa) un diverso passaggio.
SUGGERIMENTI PER LA DISCESA : Il ritorno per il Gac (“vedere la relazione sulla tratta Vignago Lentree) impone la sua obbligata conoscenza preliminare. Questo difficile balzello si può elidere risalendo a Tremenico da lentree dove sarebbe però sensato, quand’anche non obbligato, trovarvi una seconda auto per il ritorno a Bellano o (nel caso in cui si volesse accorciare ulteriormente il giro) a Noceno.
APPROFONDIMENTI
RIFERIMENTI CARTOGRAFICI :
CARTA IGM
Zona ed itinerario rappresentata correttamente. Nim tronco dopo la Valle Anonima.
Mappe del regno Lombardo Veneto e d’Italia.
E’ da queste qualitative ma preziose carte che arriva il toponimo “Sentiero di Nim” e la relativa autentica traccia. Come per IGM traccia tronca.

Tutti i diritti riservati. Ogni contenuto è originale e di esclusiva proprietà MNR – Negri “Manara” Raffaele
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